Se il potere non gradisce i magistrati

SE IL POTERE NON GRADISCE I MAGISTRATI

Domenico Gallo 23 Novembre 2024

Lunedì in Consiglio dei ministri arriva la norma che prevede azioni disciplinari per i
magistrati che prendono posizioni pubbliche su un argomento di cui si occupano o di
cui si occuperanno.
“Elon Musk ha ragione, toghe rosse andatevene”. È il testo di uno striscione esposto
nella notte tra il 19 e il 20 novembre di fronte ai tribunali di Firenze, Prato, Lucca e
Pistoia. Sono note le reazioni furiose seguite ai provvedimenti della magistratura che
non hanno convalidato il ricorso alla procedura accelerata di frontiera adottata nei
confronti di alcuni richiedenti asilo, provenienti da paesi strumentalmente dichiarati
sicuri, facendo naufragare nel ridicolo il c.d. modello Albania, di cui questo Governo
ha menato gran vanto. A ben vedere l’aggressione politica e mediatica nei confronti
dei giudici esprime l’insofferenza di questo potere politico nei confronti del controllo
di legalità e ne smaschera la pulsione autoritaria. Quanto sia profonda
quest’insofferenza ce lo dimostra il fatto che adesso si scatena la piazza contro i
Tribunali.
Se l’aggressione contro i giudici del Tribunale di Roma e Bologna è una reazione
irritata per provvedimenti giurisdizionali sgraditi, che hanno dato torto al Ministero
dell’interno, l’intimidazione nei confronti della magistratura non si ferma qui. Molto
più grave è l’aggressione portata nei confronti del procuratore della Repubblica
aggiunto di Reggio Calabria, Stefano Musolino, segretario di Magistratura
Democratica. Due Consigliere laiche del CSM, Isabella Bertolini (FI) e Claudia Eccher
(Lega) hanno presentato un esposto, chiedendo l’apertura di una pratica per il
trasferimento d’ufficio, muovendo a Musolino l’accusa di aver partecipato a un
dibattito «avente una spiccata connotazione antigovernativa» con affermazioni «di
contenuto politico». L’esposto è stato inviato anche alla Procura Generale della
Cassazione sollecitando l’avvio di un procedimento disciplinare a carico del
magistrato, reo di aver criticato il ddl sicurezza in un dibattito pubblico. Il fatto che
un tale esposto non abbia alcun fondamento giuridico e sia destinato ad essere
cestinato, non rende, per questo, l’iniziativa meno insidiosa. Dal punto di vista
politico si tratta di una arrogante pretesa di “obbedienza” al governo rivolta al corpo
dei magistrati, impedendo loro ogni forma di dissenso.
In passato questa aspirazione a mettere in riga i magistrati aveva trovato compiuta
realizzazione con la legge 24 dicembre 1925 n. 2300, che consentiva al Governo di

dispensare dal servizio quei funzionari pubblici che: «per ragioni di manifestazioni
compiute in ufficio o fuori di ufficio non diano piena garanzia di un fedele
adempimento dei loro doveri o si pongono in condizioni di incompatibilità con le
generali direttive politiche del governo». A ben vedere sembra trattarsi delle stesse
censure sollevate da Bertolini ed Eccher nei confronti di Musolino. Senonché quelle
censure sono cadute insieme a quel regime politico che le aveva generate. Una delle
prime conseguenze della caduta del regime fascista fu la revoca del bavaglio
imposto ai magistrati. Con la circolare 6 giugno 1944, n.285, il liberale Arangio Ruiz,
Ministro di grazia e giustizia, restituì ai magistrati il diritto di esprimersi liberamente
e di partecipare alla vita politica: «ho deciso di rimuovere il divieto che impediva al
personale della magistratura e degli uffici giudiziari la pubblica professione della
fede politica di ciascuno. Persuaso che nella presente situazione dell’Italia e nella
perdurante necessità di difendere la libertà riconquistata, dopo così dure prove, la
partecipazione alla vita politica sia un dovere civico, penso che sarebbe per i
funzionari dell’ordine giudiziario un privilegio odioso il contrastare loro
l’adempimento di questo dovere, limitando “a priori” nei loro riguardi l’esercizio dei
diritti politici al semplice atto del dare il proprio voto nelle elezioni».
La direttiva del Guardasigilli liberale Arangio Ruiz, fu confermata, l’anno successivo,
dal Guardasigilli comunista Palmiro Togliatti che, con la circolare del 18 agosto 1945,
ribadì la libertà dei magistrati di partecipare alla vita politica. Adesso quel ciclo,
apertosi con il ritorno alla democrazia liberale, rischia di chiudersi sotto le raffiche di
vento di coloro che vogliono riscrivere la Storia.
Ritornano di attualità le parole di Fabrizio De André: «Ascolta/ una volta un giudice
come me/ giudicò chi gli aveva dettato la legge:/ prima cambiarono il giudice/ e
subito dopo/la legge».